SIMON BALESTRAZZI interview on Blow Up #202 Marzo 2015

Simon Balestrazzi
T.A.C. e Dream Weapon Ritual: dal post-industrial alla civiltà nuragica.
di Massimiliano Busti
AGLI ALBORI dell’industrial culture italiana, nel 1981 Simon Balestrazzi ed i TA.C. reinterpretarono- in forma orgogliosamente autonoma e personale – le intuizioni dei Throbbing Gristle e dei gruppi più rappresentativi di quel periodo. Oggi questo stesso spirito ancora pervade tutta la sua musica, sebbene gli attuali interessi di Simon siano rivolti a forme libere e creative che nulla hanno a che vedere con gli stereotipi della deriva industrial, come lui stesso afferma nella nostra intervista: “La mia impressione è che molti, troppi, artisti operanti in quest’ambito (in particolare proprio a partire da metà anni ‘90) si siano appiattiti su posizioni di retroguardia, cristallizzati in famiglie molto chiuse ed autoreferenziali. Con l’aggravante che, come nel caso di altri “generi” musicali che non richiedono un grosso sforzo tecnico/strumentale/economico (sì, anche economico), l’industrial è divenuto terra di conquista per uno stuolo di wannabe che non hanno nulla da dire ma con la sola impellente ne cessità di “esserci Musicalmente parlando, ho sempre ritenuto l’industrial un non-genere; lo in terpreto piuttosto come un atteggiamento filoso fico o quantomeno un approccio all’arte e alla lettura/restituzione della realtà. Vederlo diventare un insieme di regolette, musicali e non, pesante mente codificate e banalizzate, osservare il passaggio di quelle che erano shock tactics, ben contestualizzate in un determinato periodo storico, a segnali estetici poveri e ripetitivi mi riempie di tristezza… Permettimi un’ autocitazione, tratta da un vecchissimo comunicato di T.A.C.: “la ripetizione degli schemi è automutilazione”.” Ancora negli anni ottanta, assieme a Gregorio Bardini, Simon dà vita all’ensembie darkJcameristico Kino Glaz, per poi unirsi nel decennio successivo ai Kirlian Camera: “E’ un periodo che ricordo con piacere ma che mi sembra ormai molto lontano nel tempo. Di certo ricordo quanto fosse strano essere trattati da piccole star in Germania… I KC sono sempre stati un gruppo ma c’era molta ricerca, sperimentazione e, perché no, raffinatezza, pure nella relativa povertà di mezzi (mica si poteva competere con certo pop internazionale!). Sicuramente lavorare con Angelo, che poteva vantare una certaesperienza in studi di un certo livello, mi ha datomolto. Per contro la frequentazione di quegli ambiti che stavano all’intersezione tra certo industrial, goth, EBM, etc. ha difetto condannato me e soprattutto i T.A.C. ad essere (ri)conosciuti inun’area che non ci apparteneva più di tanto…”.
Nel 1998 si trasferisce da Parma a Cagliari, ove riattiva la cellula T.A.C. registrando tre nuovi album e sviluppando tutta una serie di progetti paralleli, in gruppi come ESP, Deep Engine, Qaumanek e MOEX, quest’ultimo una sorta di collettivo artistico da cui è scaturita la sua collaborazione col contrabbassista Adriano Orrù e la pianista Silvia Corda, assieme ai quali ha pubblicato col nome di A Sphere Of Simple Green un interessante album nella curatissima serie prodotta dalla Magick With Tears: “MOEX era un ensemble multimediale a formazione variabile, con cui abbiamo realizzato principalmente operazioni site-specific in necropoli, villaggi nuragici e boschi: da qui sono passati quasi tutti i musicisti sordi con cui collaboro abitualmente. Con Silvia ed Adriano ho un rapporto di amicizia e collaborazione che ormai dura da parecchi anni, recentemente abbiamo suonato in quartetto con ilsassofonista portoghese Paulo Chagas e nel 2014 abbiamo iniziato le registrazioni di un nuovo album sul quale stiamo tuttora lavorando. Assieme a Silvia abbiamo presentato un progetto per piano preparato e live electronics dal titolo “My Fingers, My Hand, My Shadow “, che potrebbe ugualmente avere tra non molto uno sbocco di scografico.”
La sua storia più recente lo vede legato sin dal 2006 alla vocalist Monica Serra nel duo Dream Weapon Ritual, di cui è recentemente uscito l’ultimo album “Ebb & Flow”, dal quale scaturisce una sorta di primitivismo selvaggio, un intreccio di componenti materiche che sfruttano la fisicità degli oggetti, le manifestazioni della natura e l’energia degli spazi. E’ un groviglio di suggestioni che rivelano notevoli affinità con le produzioni del collettivo di Macomer Trasponsonic, soprattutto per la capacità di trasmettere quel senso di mistero che deriva dalle memorie ancestrali e dall’immaginario fantastico della Sardegna: “In effetti questo non è luogo da cui si esce indenni… Con Trasponsonic c’è un consolidato rapporto di amicizia, stima e collaborazione. I concerti in cui ho accompagnato M.S.Miroslaw o le performance con l’Hermetic Brotherhood Of Lux-or sono sempre eventi che sprigionano un quantitativo irragionevole di energia. In particolare ricordo un evento con HBoL nel sito nuragico di Tamuli in cui abbiamo lavorato con i Boes e Merdules di Ottona, un gruppo di maschere tipiche del carnevale sardo che inscenarono una “battaglia” rituale veramente indimenticabile, uno scontro tra mondo umano ed animale con continui rovesciamenti di ruolo.”
Il suono dei Dream Weapon Ritual, che vive del continuo scambio fra elementi acustici e sintesi digitale, fra il calore della voce ed il rigore dei samplers, muta e si rigenera come un macrorganismo da osservare con curiosità ed un certo timore. Qui l’elettronica di Balestrazzi colpisce per la sua estrema densità e avvolge l’ambiente con flussi di elettricità elettrostatica, dando vita a scenari in chiaroscuro da cui emergono quelle stesse visioni inquietanti e sinistre che in passato avevano caratterizzato alcuni suoi suggestivi lavori come “A Rainbow in My Mirror” e “The Sky Is Fuli of Kites”: “Nel momento in cui ho composto “The Sky stavo lavorando assiduamente sull’esecuzione in tempo reale, sovrapponendo il minor numero possibile di takes e facendo il minimo indispensabile per l’editing. In pratica stavo cercando una via “organica” al suono elettronico e concreto, che si allontanasse il più possibile dal selvaggio cut and paste imperante. Come in molti miei altri lavori, anche in questo caso alla base c’era un concept e/o una storia, che spesso però non mi interessa esplicitare a meno che non sia indispensabile (in genere quando il concept è legato a una struttura o a processi strettamente musicali). Confidenzialmente posso dirti che tra i punti di partenza c’era una serie di appunti per un racconto/sceneggiatura sulle sensazioni di un uomo costretto a scavare una fossa in quello che poteva essere un campo di (o dopo lo) sterminio in una giornata di sole, con il cielo pieno di aquiloni rossi… Poi si è inserita a tradimento una citazione da Beckett che ha spostato tutto in una condizione più claustrofobica e contemporaneamente il paesaggio si è modificato a causa delle opere di Daniele Serra, che ha realizzato la copertina.”
Materia duttile e fluida quindi, plasmata con una sensibilità che l’autore ha gradatamente affinato attraverso una pratica sempre più assidua nel campo della libera improvvisazione. In quest’ambito, particolarmente rilevanti sono state le registrazioni di “Floating Signals” (assieme a Max Eastley, Alessandro Olla e Z’ev) e di “Treasure Hunt” (con lo stesso Alessandro Olla, Ikue Mori, Sylvie Corvoiser e Maja Ratkje): “Floating Signal” nasce principalmente da una idea: incrociare un percorso di improvvisazione radicale a tutti gli effetti con un processo di improvvisazione virtuale… In altre parole, con alcuni dei musicisti che parteciparono al Signalfestivalfu organizzata una session di registrazione che si svolgeva in parte in trio assieme a me e ad Alessandro Olla ed in parte in improvvisazioni (con una regola: buona la prima) basate su session precedenti, prive però degli interventi completi e selezionate in modo assolutamente random. A tutto ciò è seguito un lungo lavoro di selezione ed editing. L’approccio era rischioso, ma l’avere scelto due musicisti in un certo senso complementari come Z’ev e Max, ci ha aiutati ad ottenere un risultato organico. E poi le session furono tutte registrate in “stato di grazia”…”
In “Treasure Hunt” le registrazioni sono state invece realizzate tutte in tempo reale e sebbene anche in questo caso il lavoro di editing sia stato “importante”, si è trattato principalmente di un lavoro di sottrazione… Ognuno di noi ha presentato un piccolo ventaglio di proposte (su metodo, schemi, regole, etc.) e poi siamo partiti a testa bassa. Lavorare con Ikue, Maja e Sylvie è stato un massacro, sono tre furie della natura… Figurati che in quel periodo stavo lavorando principalmente su strutture molto lente e meditative, con un ampio uso di drones, e invece mi sono trovato catapultato in una tre giorni furibonda assieme a tre musiciste con velocità di esecuzione e tempi di reazione infinitesimali… Una media di suoni emessi per secondo impressionante. Anche Alessandro, che pure era molto più reattivo e psicologicamente attrezzato di me per una simile “battaglia”, è stato vicino a gettare la spugna… La fatica è comunque stata abbondantemente ripagata dal risultato.”
Questa capacità di sperimentare nuovi linguaggi ed aprirsi al dialogo con musicisti di estrazione assai diversa, ha sempre caratterizzato l’approccio di Simon alla composizione. Anche il suo ultimo lavoro “Reverbalizations” è frutto di una brillante collaborazione col percussionista americano Z’ev: “Il mio primo incontro con lui risale addirittura al 1988, a Milano durante il festival “Decadenze A Dissonanze” organizzato da ADN. In quella occasione mi insegnò i trucchi dell’utilizzo della superball… In seguito abbiamo approfondito la nostra conoscenza nei primi anni zero, quando lo invitai a Cagliari per il festival Kontakte e poi alla prima edizione del Signal Festival. La registrazione del live set di Z’ev nella Cavità delle 5 Colonne che è alla base di “Reverbalizations”, risale proprio a quella stessa edizione di Signal: fu effettuata dietro il pubblico, perché doveva servire da semplice supporto per un’altra registrazione realizzata a ridosso del palco, di cui però si sono perse le tracce. Durante altri incontri in occasione dei suoi tour italiani ci siamo rimessi ad ascoltare un po’ di materiale. Il suono di quella registrazione era molto particolare ma decisamente “sporcato” dalle voci del pubblico (“Re-VERBAlizations” deriva appunto da questo), inutilizza bile per un disco live ma affascinante, quindi pensammo di rimetterci sopra le mani. Io avrei dovuto principalmente occuparmi di filtrare ed elaborare la track originale, ma non uscì nulla di interessante e accantonammo il tutto. Anche se avevamo sempre avuto l’idea di fare qualcosa insieme, non eravamo mai riusciti ad organizzare niente di veramente concreto: solo quando Z’ev è rimasto mio ospite “forzato” per un brutto incidente che lo ha immobilizzato in quel di Parma per più di un mese nell’impossibilità di suonare qualsiasi percussione, abbiamo ripreso in mano “Reverbalizations” ed è scattato qualcosa… In pochi giorni siamo riusciti ad impostare tutto il lavoro, intervenendo in modo radicale sul mate riale di base. Io ho poi aggiunto parecchi inter venti con strumenti elettronici ed acustici, applicando ulteriori tecniche di filtraggio.”
Seppur strutturato in tempi e luoghi diversi, l’album rivela un’organicità sorprendente e un assoluto equilibrio nella gestione di tutte le peculiari caratteristiche di questo suono magmatico e irregolare, viscerale e a suo modo trascendente. Come già scritto sul numero precedente di Blow Up, una sorta di “discesa agli inferi alla ricerca dell’essenza del suono”: l’ultima tappa del ricco percorso creativo di Balestrazzi, costantemente in divenire.

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